Collana Traduco, Tab edizioni, Roma, 2021-2024

di | 23 Febbraio 2025

Concepita nell’ambito dei lavori del gruppo italiano di Analisi del Discorso del Do.Ri.F (AD-DORIF https://www.dorif.it/analyse-du-discours ) e diretta con autentica perizia da Rachele Raus (Università di Bologna), è giunta ormai alla sua settima uscita la collana Traduco, nata per diffondere, tra gli studiosi italiani, l’analisi del discorso di scuola e di tradizione francese (d’ora in poi ADF). Affine nei suoi oggetti di osservazione e, in parte, nei suoi obiettivi, alla Critical Discourse Analysis (CDA), più conosciuta in Italia, l’ADF se ne diversifica per alcune nozioni che le sono specifiche e per l’uso di alcuni strumenti metodologici che hanno dimostrato, nel tempo, il loro interesse epistemologico e il loro valore euristico. Lasciando da parte i padri fondatori della disciplina, dagli anni Sessanta in avanti, certamente più noti in Italia (Michel Foucault, Michel Pêcheux, Denise Maldidier, Jacques Guilhaumou, Marc Angenot, Régine Robin, etc.), la collana Traduco, sin dalla sua nascita, si è volta di preferenza a tradurre e divulgare gli autori della cosiddetta “seconda generazione” dell’ADF.

Poiché in questa rassegna le schede dedicate alle pubblicazioni della collana non sono state finora sistematiche, diamo qui brevemente conto delle prime cinque uscite, mentre la sesta (la traduzione di Chiara Preite a Julien LONGHI, Dal discorso come campo al corpus come terreno. Contributo metodologico all’analisi semantica del discorso)è oggetto di una scheda in questo stesso numero dei Carnets, e la settima (la traduzione di Alida Silletti a Patrick Charaudeau, I discorsi populisti) verrà schedata in uno dei prossimi numeri dei Carnets, come lo saranno da ora in avanti le opere attualmente in programmazione.

Precisiamo che le traduzioni, le introduzioni, le note e le prefazioni ai volumi pubblicati sono opera di specialisti italiani di ADF e che l’uscita dei volumi ha dato luogo, in diverse università italiane, a eventi di presentazione-dibattito, a cui hanno partecipato gli autori tradotti. La collana Traduco ha dato quindi visibilità e sistematicità ad un intento divulgativo che era già emerso in alcune traduzioni precedenti, apparse presso altri editori (in particolare, ricordiamo qui : J. Guilhaumou, Discorso e evento, tradotto da Rachele Raus, Aracne, Roma, 2010;  R. Amossy, Apologia della polemica, tradotto da Sara Amadori, Mimesis edizioni, Bologna, 2018 e S. Moirand, I discorsi della stampa quotidiana, tradotto da Lorella Martinelli, Carocci, Roma, 2020).

Apre la collana il saggio di Marie Veniard, La nominazione degli eventi nella stampa, Tab edizioni, 2021, tradotto e introdotto da Rachele Raus, con prefazione della sottoscritta. L’interesse di questo lavoro è quello di mostrare limpidamente, con esempi efficacemente analizzati, il ruolo del linguaggio – e, segnatamente dell’operazione di nominazione nella costruzione di “referenti sociali”. Concentrandosi su due eventi che hanno abbondantemente circolato nei media francesi (la guerra in Afghanistan nel 2001 e la protesta dei lavoratori dello spettacolo negli anni 2003-2004), Marie Veniard dimostra come le parole con cui è designato un evento sono, inevitabilmente, il segno di una presa di posizione del parlante, poiché esse riflettono un punto di vista e testimoniano dell’interdiscorso (la memoria del “già detto”) che ne accompagna la circolazione. Molto opportunamente, l’introduzione di Rachele Raus dimostra, oltre alle strategie di adattamento al contesto italiano che sono state adottate nella traduzione, l’interesse che uno studio di semantica discorsiva così sottile può avere in Italia. Se le parole guerra e protesta sono, anche nel nostro paese, cariche di una loro memoria, altri casi specificatamente italiani potrebbero fare oggetto di un’analisi condotta con lo stesso tipo di strumenti: Raus fa accenno alla “lotta al Covid”, alla “protesta dei ristoratori e commercianti” all’epoca della pandemia e alla metafora bellicista che si è sviluppata al proposito, ma si potrebbe pensare anche a fenomeni di nominazione del tutto differenti da quelli trattati da Veniard come, ad esempio, il paradigma di denominazioni che circonda il fenomeno dell’immigrazione ed eventualmente i mezzi per farvi fronte. E’ evidente, infatti, l’orientamento diverso a seconda che si parli di “lotta all’immigrazione clandestina” o di “contrasto all’immigrazione irregolare” e che si dica, per designare gli attori, mescolando in maniera non innocente categorie giuridicamente diverse : immigrato, migrante, migrante economico, migrante politico, migrante irregolare, clandestino, rifugiato, profugo, richiedente asilo e, sul fronte dei coadiutori: trafficante o scafista, spesso proposti come sinomimi.  Oltre alla traduzione e all’impianto paratestuale, Rachele Raus cura anche un glossario delle nozioni di ADF tradotte, pubblicato in fondo al volume e utile sotto diversi punti di vista: per il suo intrinseco interesse traduttologico e per l’arricchimento del lessico specialistico italiano, i cui lemmi saranno ripresi nelle traduzioni successive.

La seconda pubblicazione della collana è costituita dal volume di Patrick Charaudeau, La manipolazione della verità, Tab edizioni, 2022, tradotto e introdotto da Alida Silletti, con prefazione di Nadine Celotti. Il sottotitolo del volume: Dal trionfo della negazione alla confusione generata dalla post-verità è già in se stesso indicativo dell’attualità delle questioni trattate. Viene infatti indagato, nello studio di Charaudeau (che adotta un approccio multidisciplinare al discorso politico e mediatico, in particolare semiolinguistico e sociopragmatico, ma anche filosofico, storico e sociologico) la nozione-chiave di verità e quelle correlate di denegazione, di persuasione, di manipolazione, per giungere al concetto di post-verità messo in relazione con le crisi della nostra epoca (crisi della comunicazione, della verità, del sapere e della fiducia). L’opera analizza, mediante una fitta rete di esempi (sia storici che legati all’attualità) gli “atti di  linguaggio” manipolatori, le cosiddette “figure di verità” e infine le “contro-verità”, legate in particolare al complottismo e al negazionismo. Tanto la prefazione di Nadine Celotti che l’introduzione di Alida Silletti insistono sull’attenzione che Charaudeau ripone alla questione etica, declinata a più livelli: l’etica del giornalista, quella del ricercatore – ovvero dell’analista del discorso – e, non ultima, quella del destinatario della comunicazione mediatica, cui incombe comunque la responsabilità della scelta. Le due studiose italiane sottolineano inoltre l’interesse delle strategie traduttologiche adottate e l’interesse che uno studio come questo può assumere nel contesto italiano. Gli esempi analizzati nel volume che meglio si prestano, con i dovuti adattamenti, alla situazione mediatica italiana sono quelli relativo alla campagna mediatica dei no-vax (no-vaccins) e le posizioni scettiche nei confronti del riscaldamento climatico.

Anche la pubblicazione del volume di Marie-Anne Paveau (Prediscorsi. Senso, memoria, cognizione, Tab edizioni, 2022), con traduzione e introduzione di Silvia Modena – Stefano Vicari e prefazione di Chiara Molinari, presenta diversi aspetti che possono interessare il dibattito pubblico italiano. In questo volume, Paveau porta uno sguardo nuovo su una nozione classica e molto studiata nell’ambito dell’ADF : quella di prediscorso, indagata in prospettiva cognitiva e posta in relazione con la memoria socio-discorsiva e intersoggettiva di una comunità di parlanti. Allontanandosi dall’impostazione prettamente ideologica che ha caratterizzato la prima fase dell’ADF nel rendere conto di tutto ciò che costituisce la “anteriorità” discorsiva, Paveau definisce su più livelli, nei vari capitoli, la nozione di prediscorso. Sul piano epistemologico, la confronta con alcuni concetti affini che hanno dato luogo a diverse teorizzazioni posteriori (in particolare, il precostruito di Pêcheux, l’interdiscorso di Bachtin); sul piano teorico, così come su quello applicativo, la nozione di prediscorso è articolata con quella di doxa, di senso comune e di stereotipo o luogo comune, concepiti tuttavia in senso positivo, privi delle connotazioni negative normalmente legate a questi concetti.  E’ in quest’ambito che Paveau, pioniera degli studi di “linguistica popolare” (folk linguistics) in Francia, offre numerosi spunti che potrebbero trovare un’eco feconda in Italia, dove esistono molti fenomeni che Paveau riassume sotto la denominazione generale di “memoria della lingua”: dal gusto per gli “etimologismi” alle espressioni di purismo che si manifestano nei “lessicologismi”, segnali del rinvio sistematico ad un’autorità sul linguaggio sempre esterna al parlante e del rifiuto dei saperi ordinari sulle parole, che meriterebbero invece di essere integrati nell’educazione linguistica. Un altro grande ambito d’interesse in questo senso è costituito dai nomi propri, in particolare i toponimi, indicatori di luogo ma anche portatori di memoria pre-discorsiva e non di rado divisiva: così come Paveau fa riferimento, oltre a “Auschwitz” e al “Rwanda”, a nomi memoriali francesi quali, ad esempio, “la Marne”, “Verdun”, etc., in Italia sarebbe interessante osservare gli usi discorsivi di nomi come Caporetto, Marzabotto, Basovizza o anche di denominazioni relative a eventi più recenti come, ad esempio, piazza Fontana. Infine, un’area teorico-applicativa della nozione di prediscorso è rappresentata dalla comunicazione digitale: quello che Paveau chiama tecnodiscorso, infatti, fa perno in modo singolare sui prediscorsi, in quanto la comunicazione sulle reti sociali si basa su diversi aspetti di condivisione (dei saperi, delle credenze prediscorsive delle comunità virtuali, dei generi e dei sistemi semiotici, ma anche dello strumento tecnologico stesso, con i suoi automatismi, le sue affordances, etc.). L’introduzione di Modena e Vicari rende conto in modo esauriente di questi aspetti innovativi e fornisce, com’è abitudine della collana, la chiave delle scelte traduttive (riprese poi, come nelle pubblicazioni precedenti, in una lista finale). In particolare, una grande attenzione è riservata, nella traduzione di un’opera così pluridisciplinare, alla conservazione di termini già in circolazione, in italiano, nell’ambito delle scienze umane.

E’ ancora Paveau la co-autrice, con Laurence Rosier, della quarta pubblicazione della collana (Paveau M.- A., Rosier L., La lingua francese al centro di passioni e polemiche, Tab edizioni, 2023), con traduzione, introduzione e note di Licia Reggiani e prefazione di Micaela Rossi. Il volume si collega al precedente per il riferimento alla nozione di prediscorso, ma approfondisce il panorama delle “anteriorità” discorsive (argomenti, luoghi comuni, pregiudizi, ecc.) relative all’uso della lingua. Esso esamina quindi, in prospettiva diacronica e sincronica, la nozione di purismo e quelle, correlate, di norma, di variazione e di immaginario linguistico. E’infatti in relazione ad un immaginario (simbolico, storico, antropologico) che la lingua francese, vero patrimonio di stato, suscita polemiche appassionate, per difenderne la purezza, per proteggere il lessico dalle contaminazioni (in particolare dagli anglicismi, ma anche da innovazioni divisive, quali la declinazione al femminile dei nomi di mestieri e professioni) e per garantire un’ideale continuità con il passato (atteggiamento che ha, per esempio, impedito una reale riforma dell’ortografia, benché la storia della lingua francese sia punteggiata da proposte di quel tipo). I dibattiti accesi su queste questioni non sono appannaggio dei linguisti. Anzi, gli interventi dei linguisti sono decisamente minoritari rispetto all’insieme dei locutori ordinari che rivestono il ruolo di tutori della lingua (numerosi sono, in Francia, i blog dedicati ai dubbi e alle segnalazioni sugli usi corretti, scorretti o devianti del lessico, della grammatica, ecc.). Il libro mostra quindi come sia ideologico anche il nostro approccio ai vari modi di parlare o di scrivere e lo fa in maniera vivace, moltiplicando esempi, aneddoti, citazioni. Per questi motivi, come lo precisa Micaela Rossi nella sua prefazione, la traduzione di questo lavoro ha rappresentato una vera sfida per Licia Reggiani, che è riuscita nell’intento di adattare al contesto italiano la ricca esemplificazione e ha saputo restituire, nella nostra lingua, il senso del dibattito su aspetti puntuali e critici di un’altra lingua. Se il caso della Francia e della sua concezione linguistica è particolare, il discorso metalinguistico e prescrittivo che lo studio osserva può, in questo caso come nei precedenti, rivestire interesse anche per l’Italia, paese dove non esiste uno studio analogo. Sebbene in un quadro storico e sociale diverso, e senza la sacralizzazione riservata al francese, anche in Italia esiste da sempre una “questione linguistica”, alimentata dalle tensioni tra lingua nazionale, lingua della tradizione letteraria, lingua standard, dialetti e varianti diatopiche e diastratiche. La metodologia di analisi usata da Paveau, improntata alla “linguistica popolare” (folk linguistics), alla sociolinguistica e all’analisi del discorso potrebbe rivelarsi fruttuosa per inquadrare il rapporto che gli italiani intrattengono con la loro lingua e l’immaginario che di essa coltivano. Come sempre, l’introduzione della traduttrice offre l’interesse di un breve saggio di traduttologia, che prende in considerazione sia le difficoltà traduttive di qualunque studio scientifico sia quelle peculiari di questo studio e della sua ricchissima e varia esemplificazione (dal testo letterario a varie opere erudite, antiche e moderne, fino a articoli di giornale, blog polemici o frammenti di trasmissioni televisive, come quella famosa di Bernard Pivot, Apostrophes).

L’ultima pubblicazione di cui rendiamo brevemente conto in questa sede si riferisce al volume di Alice Krieg-Planque, La nozione di “formula” in analisi del discorso, Tab edizioni, 2023, con traduzione e introduzione di Patrizia Guasco e prefazione di Rachele Raus. Facendo seguito ad uno studio dedicato alla circolazione dell’espressione pulizia etnica/purification ethnique (CNRS éditions, 2003) nella stampa francese all’epoca della guerra dei Balcani, Krieg-Planque affina in questo volume la nozione di formula, intesa come una locuzione che, a seguito del suo uso ripetuto nel discorso pubblico, in un dato momento storico, “cristallizza” questioni di ampio rilievo sociale e politico. Dotata di una certa stabilità morfosintattica e lessicale, è caratteristico della formula di trasformarsi in un vero e proprio “referente sociale” e di proporsi facilmente nel discorso polemico, spesso provocando polarizzazioni (pro o contro il referente sociale della formula stessa). L’interesse di questo studio è dato sia dalla sua dimensione multidisciplinare (oltre all’analisi del discorso e alla linguistica, esso implica nozioni di storia, filosofia, sociologia e scienze della comunicazione), sia dalla sua dimensione potenzialmente internazionale. Tutte le lingue e le culture, in varie epoche, sono infatti interessate a fenomeni di formularità, a partire dalle espressioni “totale Staat”/ “Stato totalitario” e “Überfremdung” /”sovrappopolazione straniera”, prese in considerazione da Krieg-Planque e già studiate da Pierre Faye negli anni Settanta e Ottanta, fino a formule attuali, capaci di una circolazione sovranazionale, come “sustanaible development”/”développement durable”/”sviluppo sostenibile”; “food sovereignty”/”souveraineté alimentaire”/”sovranità alimentare”, oppure limitate ad una circolazione nazionale, come, per esempio “fracture sociale” per la Francia dell’epoca di Chèvenement, “strategia della tensione” nell’Italia degli anni del terrorismo o ancora “utero in affitto”, nel dibattito attuale sull’etica collettiva. Le caratteristiche di multidisciplinarità e di internazionalità/interculturalità spiegano, come osserva Rauss nell’introduzione, il grande successo della nozione di formula, che ha dato luogo a studi specifici in parecchi paesi, anche tra loro diversissimi, come Israele o il Brasile. Com’è consuetudine della raccolta, l’introduzione di Patrizia Guasco dà conto delle scelte e delle strategie traduttive adoperate e fornisce una lista dei nuovi termini tecnici e dei rispettivi traducenti. La relativa esiguità di questa lista, se confrontata con quella dei volumi precedenti, è indicativa di due aspetti positivi della collana: in primo luogo, il fatto che siano puntualmente riprese nozioni che già circolano in lingua italiana nell’ambito delle scienze umane (particolarmente numerose, in questo volume, quelle attinenti la filosofia, la sociologia, la massmediologia) e in secondo luogo al fatto che, proprio grazie alle traduzioni precedenti, il repertorio terminologico disponibile per una pratica dell’ADF nel nostro paese comincia ormai a farsi più cospicuo.

Benché assai breve e quindi, necessariamente, semplificatoria, ci auguriamo che questa sintesi possa contribuire alla diffusione in Italia di una collana che merita senz’altro di essere conosciuta.

[Paola Paissa]